La Presentazione di Gesù al Tempio

Il racconto della Presentazione di Gesù al Tempio si trova solo nel Vangelo di Luca  ed è spesso rappresentato nel Ciclo dell’Infanzia, tra l’Adorazione dei Magi e la Fuga in Egitto o il Battesimo. Questa scena è legata alla Purificazione di Maria e alla festa della Candelora, celebrata il 2 febbraio, quaranta giorni dopo il Natale, durante la quale vengono benedette le candele.

Maria e Giuseppe, seguendo la legge mosaica, portano Gesù al Tempio per consacrarlo al Signore. Secondo la legge, ogni primogenito doveva essere offerto a Dio, e la madre doveva purificarsi dopo il parto, offrendo un sacrificio, generalmente un agnello o, se povera, due tortore o colombi (Lv. 12,1-8).

La prima testimonianza di una festa della Presentazione al Tempio risale al IV secolo, nel resoconto della pellegrina Etheria, che la chiama “Hypapanto” (incontro). Nel VII secolo, la festa fu adottata in Occidente con questo nome.

L’arte ha prodotto nel corso dei secoli capolavori unici. Tra i tanti vi propongo di contemplare  un’opera di Rembrand.

Presentazione di Gesù al Tempio di Rembrandt (datata intorno al 1628) è conservata presso la Kunsthalle di Amburgo, in Germania.

Rembrandt, il “poeta della luce”, non si limita a dipingere la Presentazione di Gesù al Tempio, ma la trasfigura in un racconto teologico, dove il chiaroscuro non è solo tecnica pittorica, ma linguaggio del mistero. Il testo evangelico lucano) si fa carne sulla tela, in una scena che è al tempo stesso dramma e rivelazione.

Al centro, il Bambino Gesù, fragile e luminoso, è cullato tra le braccia del vecchio Simeone, il quale, nel suo gesto colmo di trepidazione e di compimento, sembra stringere non solo un neonato, ma l’attesa stessa di Israele. La sua voce, quasi udibile nella penombra, intona il Nunc dimittis, il canto del congedo e della speranza: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace» (Lc 2,29).

La luce si concentra su di lui, in un fascio che squarcia il buio circostante. Non è una luce qualsiasi, ma la phōs di cui parla il Vangelo di Giovanni, la luce che splende nelle tenebre e che le tenebre non possono sopraffare (Gv 1,5). Attorno tre figure che sembrano emergere dalla profondità del tempo: Maria, raccolta nel silenzio della sua contemplazione; Giuseppe, raffigurato di spalle, discreto e vigile; la profetessa Anna, segnata dagli anni e dalla preghiera, testimone di una speranza ormai divenuta certezza.

Rembrandt non descrive, ma svela. Le sue pennellate dense, quasi scolpite, non narrano solo un episodio sacro, ma scavano nelle pieghe dell’anima. Qui non si assiste semplicemente alla presentazione di un bambino, ma alla rivelazione del Messia, alla luce che irrompe nel mondo. È la storia della salvezza che si rifrange nei volti segnati dal tempo, nei gesti carichi di attesa e compimento.

La teologia di Rembrandt è tutta nella sua luce: essa non abbaglia, ma rivela; non domina, ma avvolge; non cancella l’ombra, ma la trasfigura. Così il pittore ci introduce in un mistero che non è solo da guardare, ma da abitare: il mistero della Luce fatta carne, il Cristo atteso e donato.

4o

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *