Il vangelo di Giovanni è l’unico che riporta la festa di Cana con il primo dei sette segni, così come li chiama l’evangelista, di Gesù il Nazareno.
Un segno strano, insolito, per qualcuno addirittura inutile: Gesù non guarisce, non riporta in vita… trasforma l’acqua in vino! E’ la terza epifania! Gesù manifesta la sua Gloria.
Vi propongo di contemplare l’episodio ammirando l’Affresco che Giotto dipinse per la Cappella degli Scrovegni tra il 1303 e il 1305. Un’opera meravigliosamente unica, traduzione iconografica del brano evangelico e del suo significato teologico.
Entriamo nella sala del banchetto. Il Miracolo è appena avvenuto. Scorgiamo tre pareti che tra di loro segnano un angolo superiore a novanta gradi e quindi suggeriscono una stanza non quadrata o rettangolare ma di forma poligonale; è sormontata da un elegante cornicione ligneo e sopra vi è solo l’azzurro. Evidentemente Giotto ha collocato il banchetto in una conca absidale, luogo simbolico e cultuale dell’incontro tra l’umano e il divino.
Oltre al particolare delle pareti, il numero tre si ripete più volte, facendo eco al versetto evangelico: Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea. Tre, infatti, sono gli invitati per ogni lato del tavolo, tre hanno l‘aureola e tre sono senza aureola, tre sono le giare in primo piano, tre i testimoni del miracolo. Alcuni rabbini utilizzano non la traduzione greca ( tre giorni dopo) bensì il terzo giorno, cioè martedì tradizionalmente riservato dagli ebrei alla celebrazione delle nozze. E’ chiaro che non c’è nell’intenzione giovannea di descrivere una semplice festa, ma La Festa, il banchetto nuziale annunziato dai profeti per i tempi messianici, l’Ottavo Giorno….e il pittore ne fa una sintesi figurata perfetta!
In primo piano scorgiamo le sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei. Sembrano scolpite nel tempo come mute testimoni di un evento straordinario. E’ proprio lì, in quell’acqua, che Gesù segna il passaggio dal Vecchio al Nuovo; dalla vecchia alleanza alla nuova che, proprio ora, sta iniziando. Il vecchio rito fatto di regole, di precetti, cede il passo al nuovo, che si fonda sulla gioia, sull’amore. Nelle feste nuziali dell’antico Israele, che duravano circa 8 o 9 giorni, era inverosimile che venisse a mancare il vino, elemento emblematico della gioia e della prosperità. Era impensabile una festa senza vino….quell’acqua trasformata in vino è segno che Gesù si fa vino nuovo, ogni giorno, per l’uomo.
Delle giare è possibile anche un’interpretazione antropologica: per sant’Agostino, ispiratore, attraverso Alberto da Padova, della teologia iconografica giottesca, le brocche rappresentano le sei età in cui è possibile dividere la storia (da Adamo a Noè, da Noè ad Abramo, da Abramo a Davide, da Davide alla deportazione degli Ebrei a Babilonia, da tale deportazione alla nascita di Gesù Cristo, dal Natale al Giudizio Universale) o anche le sei fasi della vita dell’uomo, dall’infanzia alla vecchiaia.
Ma poniamo ora l’attenzione sui personaggi più importanti: Cristo con sua Madre e i due sposi.
Alla Madre Gesù si è rivolto chiamandola Donna…. E’ questo il termine usato nell’Antico Testamento per designare la Figlia di Sion…il popolo d’Israele. Quando Gesù si rivolge quindi a Maria con una simile espressione… egli vede in sua madre il popolo d’Israele che è giunto alla pienezza(R. Penna). Il Messia è finalmente arrivato. Il tempo propizio è giunto perché Dio si è fatto uomo.
Ci sono poi i due sposi. Secondo la Legenda Aurea del beato Jacopo da Varagine e le Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo dello Pseudo-Bonaventura, due antichi testi che intrecciano dato biblico e tradizione popolare, lo sposo è l’apostolo Giovanni. La sposa, invece, è Maddalena, identificata con Maria sorella di Marta e di Lazzaro. Giovanni l’abbandonerà, subito dopo le nozze, per seguire il Maestro (sentendosi abbandonata ella non si darà pace, per questo verrà simbolicamente invasa dai sette demoni, sarà cioè in balia di quei sette vizi capitali che il pittore raffigura attorno alle pareti della Cappella, insieme con le sette virtù corrispondenti). Giotto fa una mirabile sintesi tra il dato scritturistico canonico e quello popolare: il risultato è fantastico! E’ riuscito a porre in parallelo l’umano e il divino: da un lato Giovanni, l’uomo sposo che abbandonerà la sua sposa; dall’altro Cristo, il Vero Sposo con la sua Sposa/chiesa. Di essa Isaia aveva proclamato: Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata , perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. In Cristo Dio sposa definitivamente l’umanità, realizza il vincolo di unione consolidato nell’amore, sancisce il definitivo patto nuziale con la sua Chiesa.
Infine un’attenzione ai due servi rivolti verso Gesù e verso la sposa. Il primo, con l’abito rosa (un rosso reso chiaro dalla luce), sembra contemplare il volto del Nazareno. Rappresenta la diaconia della preghiera, della vita contemplativa che mette tutto il resto in secondo piano. Il secondo, vestito di verde, sta lavorando davanti alla sposa, per la sposa. Egli rappresenta la diaconia della carità. Con la loro posizione, questi due personaggi segnano il continuum tra la scena e lo spettatore (sono posti nella stessa posizione di chi osserva la scena). Fungono quindi da ‘suggerimento’ a quanti, credenti, riconoscono il Gesù il proprio Signore e si pongono alla scoperta dei carismi ricevuti da Dio.